Il peso delle esportazioni di vino sul commercio estero – dati 2018

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Nel periodo di “bassa” del flusso informativo sul mondo del vino, cioè di questi tempi, bisogna inventarsi qualche analisi o prendere spunto dagli altri. Così ho fatto, approfondendo l’analisi lanciata da AAWE sulla penetrazione dell’export di vino sul commercio estero dei principali produttori. In altre parole, quanto è importante l’export di vino per l’Italia o per la Francia? Qual’è il paese più “dipendente”, se così si può dire, dal vino nell’ambito del suo commercio estero? Bene, questo post punta a darvi qualche risposta e a fornirvi un po’ di dati di contesto: le esportazioni dal 2000 al 2018 degli 11 principali produttori di vino del mondo, le loro esportazioni totali e dunque il rapporto tra i due. Dati che confrontiamo in lungo (tempo) e in largo (tra paesi). Passando alle risposte, il paese più dipendente dal vino è la Nuova Zelanda (naturalmente escludendo piccoli paesi produttori dell’Est Europa), seguita dal Cile e dalla Francia. La penetrazione delle esportazioni di vino invece non è al suo massimo storico in praticamente nessun paese del mondo. Anzi forse proprio la Francia e l’Italia sono i paesi in cui siamo più vicini al massimo storico, ma forse ciò è il risultato dell’andamento lento dell’esportazione degli altri prodotti che non per merito della crescita dell’export di vino. Nel sottolinearvi che si tratta di dati espressi in miliardi di dollari, vi auguro buona lettura del resto del post.

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I prezzi all’origine del vino – aggiornamento 2019 su dati ISMEA

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La normalizzazione delle vendemmie 2018 e 2019 ha portato come c’era da attendersi a un “rientro” della bolla dei prezzi all’origine dei vini in Italia. L’indice elaborato da ISMEA mercati da cui abbiamo preso questi dati indica un prezzo indice (base 2010=100) di circa 148 a fine ottobre 2019, in calo del 20% rispetto al picco toccato a maggio 2018 di 184 e del 17% rispetto al valore medio del 2018. Se guardiamo ai dati medi annui, il 2019 è tornato a essere un anno normale, in cui la bolla dei prezzi è pienamente rientrata. Un ettolitro di vino costa dunque circa il 45% in più (media 2019) di quanto costava nel 2010, il che indica un’inflazione del 4% circa all’anno sul prodotto. A beneficiare maggiormente dell’aumento dei prezzi sono ovviamente i vini di qualità, e in particolare i vini rossi DOC/DOCG, il cui indice è salito mediamente a 163 (quindi +6% annuo dal 2010) e dove la volatilità dei prezzi è stata meno marcata (-13% dal picco del 2018). L’area di maggior volatilità è certamente quella dei vini comuni, dove anche i livelli produttivi si sono rivelati molto variabili nel tempo e dove la “concorrenza” basata sul prezzo è più marcata: il calo rispetto al picco storico è del 39%, mentre in media il prezzo 2019 scende di oltre il 30%. Il dettaglio per denominazione (tabelle dettagliate allegate) mostra invece che il Brunello di Montalcino è diventato di gran lunga il vino con il prezzo più elevato in Italia (nota: non abbiamo dati disponibili per l’Amarone), distaccando nettamente il Barolo (il cui prezzo invece cala. Scendono poi le quotazioni del Conegliano Valdobbiadene e del Prosecco, dando presumibilmente fiato ai produttori-non viticoltori del prodotti che tanto hanno sofferto negli ultimi 2-3 anni. Passiamo ad analizzare brevemente i dati.

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Esportazioni di vino italiano – aggiornamento novembre 2019

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Le esportazioni italiane di vino in Novembre non sono andate bene, non solo per la stabilizzazione del Prosecco nel segmento spumanti ma anche per la battuta d’arresto dei vini in bottiglia. Con il -5% del mese di Novembre arriviamo agli 11 mesi a una crescita del 2.9% e se dicembre finisce stabile (ma potremmo sperare in qualcosa di meglio visto la base di comparazione piuttosto facile) andiamo al +2.3%. Siamo insomma a cavallo dei 6.4 miliardi di euro, qualcosa più (se dicembre cresce), qualcosa meno (se dicembre è stabile o in calo). Non è un risultato particolarmente eccitante, vista la forte spinta dei volumi (+10% negli 11 mesi) e considerando che la Francia ha chiuso intorno a +4% (i dati finali dettagliati non sono ancora usciti) nonostante il colpo secco dei dazi americani sull’export dell’ultimo trimestre. Il nostro tallone d’Achille è il Regno Unito, unico tra i mercati importanti a mostrare un calo importante, soprattutto negli ultimi mesi.

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LVMH divisione vino – risultati 2019

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La divisione Wine/Spirits di LVMH continua ad andare a gonfie vele, combinando una sana crescita organica (circa 6% per la divisione, 4% per la divisione vino e Champagne) a una strategia di acquisizioni mirate. L’obiettivo delle due operazioni realizzate nel 2019 (Château du Galoupet and Château d’Esclans) è stato di incrementare l’esposizione al segmento dei vini fermi e degli Champagne rosati di alto livello, dove il gruppo sta lanciando diversi prodotti ma non aveva una massa critica sufficiente. Ovviamente, il Gruppo va ben oltre la divisione vini: basti ricordare la mega acquisizione di Tiffany. Tornando alle cose di nostro interesse LVMH ha realizzato 2.5 miliardi di vendite nel segmento vino e Champagne, +11%, con un ritmo molto sostenuto anche nella seconda metà dell’anno, cresciuta del 10% circa. La strategia resta fortemente incentrata sull’incremento del mix di prodotto lanciando nuove cuveé di alto livello e alzando in generale i prezzi, che giustificano (insieme a un aiutino dei cambi) tutta la crescita: i volumi sono infatti stabili per lo Champagne e in crescita soltanto del 2% per i vini fermi. Passiamo a una breve analisi dei dati.

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Treasury Wine Estates – risultati primo semestre 2019/20

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Il progetto di rilancio e di crescita di TWE si è bruscamente interrotto con la comunicazione di risultati semestrali decisamente inferiori alle attese. Una serie di eventi si sono concentrati nelle ultime settimane, indebolendo i volumi venduti, soprattutto nel mercato americano. Così pur crescendo (perchè i dati che presentiamo oggi sono piuttosto buoni), l’andamento previsto per il 2019/20 non è più di crescere del 15/20% ma bensì del 5/10%. Apriti cielo. Le vendite si sono abbattute sul titolo che ha subito un vero e proprio crollo delle quotazioni, passando da quasi 18 dollari australiani per azione a poco più di 13 dollari. Il paradosso è che questo stop viene pochi mesi dopo che il gruppo aveva annunciato (24 settembre) un nuovo business plan in pompa magna agli investitori. Le cause sembrano peraltro non così “improvvise”: la competizione nel mercato americano dopo vendemmie molto positive, le dimissioni di un manager chiave in USA, i problemi con i distributori in Cina che stanno cominciando a diversificare l’offerta a spese dei vini di TWE. Comunque, tornando a noi, le vendite del semestre luglio-dicembre 2019 segnano un incremento del 2% soltanto, nonostante un impatto positivo dei cambi del 2%, con un calo dei volumi venduti che sfiora il 6%. I margini continuano a migliorare, supportati dall’andamento molto positivo dell’Asia, dove però TWE è ormai arrivata a guadagnare il 43% contro il 26% del mercato domestico e il 16-17% degli USA e dell’Europa. Sarà sostenibile? Passiamo all’analisi dei dati.

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