Con l’approcciarsi della stagione estiva e delle vacanze, cominciamo la trafila delle produzioni DOC/DOCG e relativi grafici annessi sui dati prodotti da Federdoc. Con il 2009 abbiamo una serie piuttosto ricca, che copre 5 anni e che, nel caso del Piemonte, offre un quadro molto completo della situazione (non cosi’ per altre regioni). Come per gli anni scorsi, tante tabelle e grafici e qualche commento e spunto di discussione molto schematico.
03.2 Prod/Sup – Italia
Il vino laziale, un patrimonio da salvare. Di Stefano Castriota e Marco Delmastro
1 commentoE’ per me un onore ospitare sul blog questo contributo di Stefano e Marco. Per due volte nel corso di questi anni queste pagine hanno ospitato un commento dei loro studi sulla reputazione che hanno avuto come oggetto il mondo del vino (gennaio e dicembre 2009). Buona lettura e, soprattutto, buon dibattito. Marco Baccaglio
di Stefano Castriota e Marco Delmastro.
Da anni ormai le più prestigiose guide nazionali ed internazionali bocciano sonoramente la qualità dei vini del Lazio. L’Espresso parla di “ritardo ormai cronico” mentre il Gambero Rosso descrive la situazione come di “Allegro, non troppo”. Nemmeno a livello internazionale le cose vanno meglio. La reputazione all’estero delle denominazioni laziali (DOC e DOCG) è ben al di sotto della media nazionale: il Lazio si ritrova dietro non solo a corazzate enologiche come Piemonte e Toscana, ma deve anche recuperare posizioni rispetto a regioni di più recente affermazione come Puglia, Sardegna, Marche e Basilicata. La figura riporta la reputazione media e massima raggiunta dalle denominazioni delle regioni italiane: il Lazio registra valori tra i piú bassi in assoluto. Questa regione, inoltre, non può sfruttare altri fenomeni di traino commerciale quali la presenza di vitigni o prodotti locali riconosciuti a livello internazionale come sono, ad esempio, il Nero d’Avola ed il Marsala in Sicilia.
Nonostante ció il Lazio è una zona con una lunga tradizione vinicola che risale addirittura a prima dell’avvento degli antichi Romani. Nel Cinquecento gli ettari coltivati a vite erano circa il doppio di quelli attuali, essendo il vino non solo e non tanto una bevanda per accompagnare i pasti o trascorrere del tempo in compagnia quanto piuttosto un vero e proprio alimento ricco di calorie e principi nutritivi. Oggi i cambiamenti nelle abitudini di consumo di vino degli Italiani, con una diminuzione del consumo pro capite ed uno spostamento verso i prodotti di qualità, stanno radicalmente modificando la morfologia dell’enologia nazionale e, quindi, anche di quella laziale. A ciò si aggiunga la crescente pressione concorrenziale da parte dei produttori del cosiddetto nuovo mondo (Australia, Cile, Nuova Zelanda, Sud Africa e Stati Uniti) che stanno conquistando considerevoli quote a livello mondiale.
Le aziende italiane si trovano dunque a dover affrontare la concorrenza dei nuovi produttori sui mercati internazionali e contemporaneamente il progressivo e costante declino dei consumi domestici. In questo scenario il Lazio si trova in una situazione decisamente peggiore rispetto al resto dell’Italia. Con i suoi quasi due milioni di ettolitri è l’ottava regione italiana per quantità prodotta; tuttavia, nonostante la quota di vini DOC (25 denominazioni) e DOCG (la neo-promossa “Cesanese del Piglio”) sul totale della produzione italiana sia superiore alla media nazionale (49% contro 35%), la reputazione di queste denominazioni, come visto, di certo non brilla. Ciò si traduce inevitabilmente in bassi introiti per i produttori regionali e, di conseguenza, in inadeguati investimenti in qualità degli stessi con una spirale viziosa anziché virtuosa.
Più che le costose strategie di marketing che hanno caratterizzato le passate politiche regionali di sviluppo, la rinascita del vino laziale deve passare per la qualità dal momento che, soprattutto per questo tipo di bevanda, l’affermazione di un marchio dipende non tanto dalla pubblicità quanto piuttosto dagli investimenti in qualità. A loro volta, le scelte produttive delle aziende sono influenzate largamente dalle strategie regolamentari adottate da consorzi ed istituzioni.
È quindi urgente un innalzamento degli standard minimi di qualità stabiliti nei disciplinari delle denominazioni regionali (DOC e DOCG). Allo stato attuale non v’è dubbio che i disciplinari laziali siano carenti e non spingano i produttori sul sentiero della qualità. Il confronto riportato nella tabella è inequivocabile, il Lazio ha fissato standard di qualità inferiori da tutti i punti di vista: scelta dei vitigni, produttività delle vigne, titolo alcoolometrico, invecchiamento del vino, presenza di tipologie più selettive e prestigiose (sia per quanto riguarda gli standard in vigna che per quelli in cantina).
Da ció deriva che le scelte di qualità sono lasciate ai singoli che, considerate le limitate dimensioni di partenza e la bassa reputazione del prodotto regionale, incontrano grandi difficoltà ad affermarsi e pochi incentivi ad investire.
Colmare il divario con il resto del paese richiede uno sforzo economico non indifferente nel breve periodo ma può tradursi nel tempo in considerevoli e strutturali guadagni in termini di qualità, reputazione e reddito. Nell’agricoltura di qualità (e non solo) si raccoglie tra dieci anni ciò che si semina oggi. Nel Lazio, purtroppo, si è scelta finora la strategia delle scorciatoie tentando di ottenere risultati con l’affermazione di un ipotetico brand regionale, senza operare al contempo sulla leva degli standard di qualità, con il rischio di conseguire risultati esattamente opposti a quelli sperati. Per raggiungere miglioramenti significativi a livello regionale è necessario uno sforzo simultaneo e coordinato da parte di imprese, consorzi e soggetti istituzionali. Oggi, però, a parte qualche isolato risultato, si ode, dopo un periodo di pailette e lustrini, un assordante silenzio. Basterebbe, forse, semplicemente rimboccarsi le maniche e lavorare per innalzare la qualità dei prodotti regionali.
Classifica delle DOC/DOCG italiane 2006-09 – dati Federdoc
nessun commentoFonte: Federdoc
Federdoc ha appena pubblicato il suo rapporto 2010 sui vini VQPRD, che riporta i dati della vendemmia 2009. A titolo di commento generale, il rapporto e’ esattamente sulla linea degli scorsi anni: ha un grande vantaggio, che e’ pubblicamente consultabile e un grande svantaggio, che e’ incompleto. Cio’ che a me sconcerta, anche dopo tutte le annotazioni che sono state fatte a Federdoc, e’ che questo report continui a “fare le somme” della produzione DOC-DOCG con dati talvolta lacunosi: per citare un caso su tutti, per la Sicilia Federdoc mette un numero di ettolitri che non comprende la DOC Marsala, che da sola rappresenta circa i tre quarti della produzione totale. Nei prossimi mesi, particolarmente durante l’estate, pubblichero’ tutti i dati pubblicabili per regione, talvolta usando delle stime per i dati mancanti.
Ma oggi ci concentriamo su qualcosa di diverso, e cioe’ sulla classifica nazionale delle DOC, che si puo’ fare molto bene con i dati a disposizione. Ho cercato molto sommariamente di separare le DOC in categorie: quelle bianche, quelle rosse, gli spumanti e quelle geografiche. L’esercizio non e’ facile e si presta ad ambiguita’ (il Soave e’ una DOC geografica o una DOC bianca?; e il Barolo? Io ho puntualmente messo la prima tra le geografiche e la seconda tra le rosse, probabilmente peccando di incoerenza…). Nel post poi trovate anche una classifica in base alle superfici denunciate
I numeri della viticoltura biologica in Italia – aggiornamento 2009
12 commentiA partire dal 2009, in SINAB (sistema d’informazion nazionale sull’Agricoltura biologica) ha iniziato a produrre un rapporto un po’ piu’ sostanzioso. Sono cosi’ stati pubblicati i dati regionali sulla superficie trasformata o in trasformazione al biologico. A titolo generale, la viticoltura biologica ha avuto un periodo a cavallo del 2005-08 dove sono entrati in produzione diverse iniziative: gli ettari sono quindi cresciuti da circa 20mila fino ai 29532 del 2008. Nel 2009 per la prima volta da diversi anni, la superficie convertita e’ scesa leggermente (da 29500 a 27500 ettari). Dovrebbe essere un effetto temporaneo dato che gli ettari in conversione sono di nuovo in crescita (16206 rispetto ai 10-11000 degli anni precedenti). Se sommiamo le superfici gia’ convertite a quelle in conversione, arriviamo a 43614 ettari, cioe’ circa il 6.2% del totale nazionale (dato ISTAT 720390 ettari totali). Con tutte le notizie che si sentono su questi argomenti, il dato a me sembra particolarmente basso.
Le aree vitate nel mondo – aggiornamento 2007 – fonte OIV
nessun commentoDopo 3 anni aggiorniamo la situazione delle aree vitate nel mondo, che secondo OIV ammontavano a circa 7.8 milioni di ettari a fine 2007. Il numero e’ soggetto a una serie di stime e, soprattutto, riguarda sia la vite per la produzione di vino che quella per l’uva da tavola, per il succo d’uva e per l’uva passa. Guardando al trend degli ultimi anni, sembrerebbe un calo leggero ma costante. Nei rapporti degli anni precedenti il valore piu’ alto fu quello del 2002 con circa 7953mila ettari. Da quell’anno secondo OIV se ne sono persi circa 160mila per arrivare al numero del 2007 di circa 7792mila. Sono pero’ numeri in costante aggiornamento.