Contributi esterni


Intervista su “The digital wine”

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Ebbene, questo giro non scrivo, ma parlo!

Grazie all’iniziativa di Rolando Mucciarelli e del suo The Digital Wine, questa sera non leggete ma se avete tempo e voglia, mi ascoltate.  Attenzione, dura mezz’oretta!

(e il post originariamente programmato per stasera va a domani sera)

Se siete arrivati fin qui…
…ho un piccolo favore da chiedervi. Sempre più persone leggono “I Numeri del Vino”, che pubblica da oltre dieci anni tre analisi ogni settimana sul mondo del vino senza limitazioni o abbonamenti. La pubblicità e le sponsorizzazioni servono per aiutare una missione laica in Perù. Per fare in modo che questo lavoro continui e resti integralmente accessibile, ti chiedo un piccolo aiuto, semplicemente prestando da dovuta attenzione con una visita alle inserzioni e alle sponsorizzazioni presenti nella testata e nella sezione laterale del blog. Grazie. Marco

 

Vini da investimento: mercato in crescita negli ultimi 10 anni. Contributo di Emanuel Paglicci

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Ricevo e pubblico questo contributo di Emanuel Paglicci.

a cura di Emanuel Paglicci, CEO di Wine Profit

Negli ultimi decenni, il vino pregiato è diventato un asset sempre più popolare tra gli investitori più esperti e i non, soprattutto per chi desidera diversificare il proprio portafoglio. Un trend in continua crescita, testimoniato dal Knight Frank Luxury Investment Index, secondo il quale l’andamento del mercato del vino pregiato ha registrato un’impennata del +137% negli ultimi 10 anni. A confermarlo è anche l’indice Liv-ex 100 che misura proprio l’andamento dei vini pregiati in Europa e che ha riportato nel 2022 un +7,1%.
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Wine Digital: un potenziale grezzo. Di Christian Forgione

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A fine Febbraio 2020 Audiweb, ente che certifica l’utilizzo di strumenti digitali di noi italiani, ha dichiarato che passiamo in media 2,5 ore collegati al web con il nostro smartphone. Se ci fosse ancora bisogno di un segnale di come nessuna cantina possa sottovalutare l’aspetto digitale, questo è solo uno dei tanti dati. Oggi viviamo in un’epoca dove ognuno di noi è collegato e può ottenere informazioni, acquistare un vino, scegliere il prossimo viaggio enoturisitico con un click. Il mondo digitale abbraccia le nostre vite integrandosi con la vita quotidiana. In questo contesto il mondo del vino non è esente, anzi si presenta in crescita, ma ancora con ampi margini di miglioramento.

A parlare sono i numeri; numeri che io e il mio team abbiamo esaminato attraverso l’analisi di oltre 200 cantine (sparse per il Nord, Centro e Sud Italia, con una produzione inferiore alle 250000 bottiglie) e che hanno dato vita alla ricerca “wine digital potenziale grezzo infografica B”. Un’indagine riguardante la presenza digitale delle cantine di vino, la quale ci ha consentito di ottenere numerosi spunti di osservazione, utili ad inquadrare lo stato attuale del mondo enologico in materia digitale.

I dati raccontano di un trend positivo se si parla di mera adozione di canali digitali o di una presenza minima online, ma collegando i dati tra loro si notano tre aspetti che fotografano ancora parecchie lacune nell’utilizzo consapevole e finalizzato al raggiungimento di obiettivi commerciali.

  • Il 21% delle cantine analizzate non si preoccupa di far coincidere gli stessi dati (es. indirizzo, numero di telefono, mail…) tra i vari punti digitali! Quindi, un utente, ergo potenziale cliente, una volta su cinque quando cerca una cantina su Google si trova senza informazioni certe. Ciò implica il rischio che la persona in questione possa abbandonare la navigazione e/o cambiare cantina della quale informarsi.
  • Il 90% delle cantine utilizza i social senza investimenti in Advertising. Questo è un dato che racconta di come non sia chiaro l’utilizzo dei social media aziendali, da non confondere con i profili personali dei produttori.
    I profili aziendali non sono strumenti gratuiti, ma bensi dei PAY MEDIA. Pensare che da soli i contenuti portino chissà quale risultato è come sperare di vincere al SuperEnalotto. Ora mentre stai leggendo sono stati pubblicati sul web circa 150.000 foto solo su Instagram… Spero di aver reso l’idea. La concorrenza non è solo alta, è impossibile da reggere senza investimenti.
  • Il 30% delle cantine (dato ancora più grave se si pensa che l’analisi è stata svolta in piena pandemia) non ha risposto ad una semplice mail informativa entro due giorni lavorativi. Il che ci racconta di come certi strumenti siano stati creati quasi per obbligo. Mi dispiace ripetermi, ma quel che manca ancora volta è la consapevolezza di quel che sta accadendo. Il solo e magnifico passaparola non sarà più sufficiente, se non correttamente gestito e gli agenti o commerciali, per quanto bravi, faranno sempre più fatica perché oggi la fase di acquisizione di informazioni viene svolta online.

Sempre più spesso, una persona sceglierà di visitare una cantina, comprare una bottiglia di vino, inserire un prodotto nella carta dei vini del suo ristorante, in base anche ai contenuti trovati in rete. Viviamo in un mondo iper integrato con il digitale ed è per questo che anche le cantine devono iniziare ad includere l’online con coscienza nelle loro attività professionali quotidiane.

(Contenuto sponsorizzato)

 

Nessuno ha la verita’ in tasca – di Angelo Gaja

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Tra il 1850 ed il 1890 si abbatterono sulla viticoltura europea l’oidio e la peronospora, fitopatologie nuove ed aggressive come non si erano mai viste nei secoli precedenti. I viticoltori dovettero imparare a combatterle sistematicamente con l’impiego di antiparassitari, zolfo e rame, se volevano salvare la produzione d’uva. Come non bastasse, qualche tempo dopo arrivò la fillossera ad innescare la moria delle viti, a seguito della quale si fu costretti ad estirpare la totalità dei vigneti per reimpiantarli successivamente su portainnesto di vite americana, quest’ultima resistente alla malattia. Sembrò a quel tempo che la viticoltura europea ricevesse un colpo mortale. Non fu possibile allora attribuire il disastro al supposto cattivo stato di salute della viticoltura causato da un impiego eccessivo della chimica, perché non se n’era mai fatto uso prima; alla monocoltura, perché si era sempre praticata la policoltura; alla perdita di biodiversità, perché non ce n’era mai stata così tanta. Ci fu un ampio abbandono della viticoltura in favore di altre coltivazioni. Poi, gradualmente, si trovarono le contromisure e nel secolo scorso si individuò nella chimica il mezzo più efficace per contrastare le fitopatologie attraverso l’impiego di antiparassitari, definiti via via anche come fitofarmaci, pesticidi, veleni chimici. E la chimica, a farla da padrona, continuò a fornire altri prodotti ancora da impiegare in qualità di fertilizzanti e diserbanti. E’ nel secolo corrente che prende forza la domanda di una agricoltura che faccia meno ricorso alla chimica e si affermano per il cibo l’esigenza della sanità, a protezione della salute del consumatore, e della pulizia, affinché la coltivazione non divenga inquinante per l’ambiente.

L’obiettivo primario di ridurre l’impatto della chimica in viticoltura viene oggi perseguito con la lotta integrata, che riduce l’uso di antiparassitari integrandoli con prodotti che non sono di origine chimica; la conduzione biologica, che limita l’uso di prodotti chimici ai soli rame e zolfo; la conduzione biodinamica che esclude l’uso della chimica. Ma non ci si può fermare soltanto qui. Vanno utilizzati anche quei sistemi che consentono di arrivare a produrre viti che offrano una buona resistenza alle malattie, inseguendo così l’obiettivo di contenere/abbattere il ricorso alla chimica per combatterle. La recente scoperta del sequenzionamento del genoma della vite offre oggi alla ricerca nuove importanti opportunità: di individuare le viti che ospitano il gene della resistenza (al patogeno) e trasferirlo nel genoma di viti che non lo posseggono. Pratica da avviare attraverso l’impiego di biotecnologie che non sono equiparabili agli OGM transgenici. Andrà chiesto ai vivaisti di dedicare maggiore attenzione al materiale derivante da selezione massale, per non affidarsi totalmente alla selezione clonale che produce viti più fragili. Al fine poi di recuperare salute al vigneto, andranno estese le pratiche che consentono di rafforzare la vitalità del suolo. La strada per abbattere l’uso della chimica nel vigneto è lunga, se la si vuole condurre con successo va percorsa senza paraocchi, utilizzando tutti gli strumenti disponibili.

Angelo Gaja

Troppo caldo nei vigneti. Di Angelo Gaja

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Anche i viticoltori e produttori di vino guardano in modo diverso al clima che cambia.
E’ generale la percezione degli eccessi, delle temperature medie giornaliere più elevate, l’avvio precoce nel vigneto della fase vegetativa, l’accelerazione della maturazione, le vendemmie anticipate.
Quelli che guardano ai benefici fanno osservare che, rispetto al passato, le vendemmie di buona qualità sono più frequenti. Vini che si presentavano gracilini ed acidosi, appaiono oggi più strutturati ed armonici se non anche propensi ad esibire i muscoli. Mentre per altri il clima che cambia è foriero di preoccupazioni: la recrudescenza delle malattie parassitarie vecchie e nuove; la sofferenza dei vigneti a causa di periodi troppo a lungo siccitosi; i grappoli esposti alle scottature ed alla luce solare troppo intensa; le uve che arrivano in cantina troppo calde, con gradazioni zuccherine elevate, ancora coperte di antiparassitari che la siccità non ha concesso di dilavare; i bassi livelli di acidità del mosto; la gradazione alcolica dei vini che mostra nel tempo la progressione a salire.
Il cambiamento climatico agisce allo stesso modo sul vigneto indipendentemente dalla tecnica di conduzione: convenzionale, biologico, biodinamico. Un lungo articolo su LE MONDE del 7 novembre 2015 dedicato al “colpo di calore sui vigneti” evidenzia le forti preoccupazioni al riguardo, non soltanto per le sorti della viticoltura del Sud della Francia. Il polo universitario di Bordeaux ha avviato da un decennio progetti di ricerca scientifica volti ad individuare viti più idonee a fronteggiare gli effetti del cambiamento climatico.
E’ urgente dare maggiore impulso alla ricerca anche in Italia: per migliorare l’adattamento dei portainnesti al mutamento del clima in atto e per cercare di mettere al riparo le viti storiche italiane da alcune delle malattie più insidiose. Per fare ciò occorre che il nostro paese autorizzi i ricercatori ad accedere alle nuove tecniche di incrocio, la cisgenesi ed il genome editing, attraverso le quali è possibile trasferire geni (di resistenza a determinate fitopatologie) da viti che ne sono in possesso a viti che sono carenti. Si metterebbe così ancora una volta a frutto il patrimonio unico di viti storiche italiane, attingendo alle diversità che le caratterizzano.
Però occorre agire, utilizzando sia fondi pubblici che privati. Lo stallo attuale non serve al mondo del vino italiano.

Angelo Gaja
novembre 2015