2012


Vini a basso contenuto di solfiti e scelte d’acquisto dei consumatori – working paper AAWE

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Oggi si cambia argomento, si parla di solfiti, e dato che i solfiti inducono il mal di testa, ho pensato di mettere meno numeri per non appesantirvi troppo. Il rapporto tra vini e solfiti è molto dibattuto e i risultati di questo studio condotto da Christopher Appleby, Marco Costanigro, Dawn Thilmany e Stephen Menke, pubblicato qui da AAWE lo analizzano dal punto di vista del consumatore, tramite un sondaggio su 233 consumatori americani. In breve, che cosa dice lo studio? (1) la scelta di un vino è determinata ancora prevalentemente dalla qualità e dal prezzo, e non dalla presenza o meno di solfiti; (2) i consumatori, a parità di tutto il resto, sono disposti a pagare un prezzo maggiore (meno di 1 dollaro…) per la scelta di non avere o avere meno solfiti; (3) coloro che accusano mal di testa sono molto più attenti alla questione (e qui, no news…); (4) importantissimo: i consumatori non sono disposti a cedere sulla qualità del prodotto in cambio dell’assenza di solfiti (e qui, a parere di chi scrive, cade l’asino).

La conclusione è che i vini senza solfiti possono essere una nicchia interessante, ma soltanto una nicchia, e che l’assenza di solfiti non è una condizione sufficiente per poter vendere un vino: la qualità del prodotto ha ancora un peso molto rilevante.

Vediamo qualche risultato numerico, senza appesantirvi troppo:

  • Il 64% di quelli che hanno normalmente mal di testa sostengono che i solfiti determinano mal di testa. Il 57% dice che viene provocato dalla disidratazione. Stranamente, però, gli americani sembrano associare di più il mal di testa al vino rosso rispetto al vino bianco (11% contro 3%).
  • Questi consumatori sono disposti a pagare 64cents per un vino senza solfiti, a parità di qualità, mentre pagano 1.22 dollari in più per un vino organico rispetto a uno non organico.
  • Giusto per fare un confronto, il differenziale di prezzo calcolato sul punteggio dei vini nelle guide indica un maggior prezzo di 2.84 dollari per 4 punti di punteggio in più. Un’altra indicazione che suggerirebbe come la qualità è più “pagata”.
  • Ci sono altre correlazioni interessanti. Una dice che i consumatori con un reddito elevato e con acquisti di vino più significativo sono meno influenzati dalla questione dei solfiti.

E invece voi produttori, che percezione avete di questa “tendenza” del mercato del vino?

Esportazioni di vino italiano – dati primo semestre 2012

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Oggi aggiornamento quasi in tempo reale sulle esportazioni di vino a giugno 2012 che sono state pubblicate giusto qualche ora fa. I dati non “sorprendono” rispetto alle evidenze dei mesi precedenti: i volumi continuano a calare in doppia cifra a causa del crollo delle esportazioni di vino sfuso a basso prezzo (dato che i fatturati tengono), mentre le vendite di vino imbottigliato e ancor di più quelle di spumanti segnano dei rassicuranti segni positivi sul mese di giugno (+7% e +22% rispettivamente). Il semestre, per dare due numeri chiude a 2153 milioni di euro di export, in crescita del 7.2% sul 2011 medesimo periodo, con volumi in calo dell’11% a 10.3 milioni di ettolitri. Il prezzo medio è cresciuto di conseguenza del 20% a circa 2.1 euro al chilo. Entriamo in dettaglio.

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Vendite di vino al dettaglio in Italia – dati primo semestre 2012

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ISMEA ha ripreso a pubblicare i dati sulle vendite al dettaglio di vini, come rilevati da ISMEA. In uno scambio di email con la gentile Tiziana Sarnari di ISMEA ho scoperto che e’ cambiato il fornitore di dati e che i nuovi dati sono basati soltanto sulla accoppiata supermercati e ipermercati, quindi con una base differente da prima. Quest’oggi commentiamo i dati del primo semestre 2012, che sono finalmente stati ripubblicati in dettaglio: con qualche sforzo di ricostruzione e di riconciliazione provo anche a fornirvi un trend pluriennale sui dati del primo semestre per mostrarvi come si sono evoluti i volumi, i prezzi e le vendite in valore. Il quadro che ne esce e’ molto meno drammatico di quello che si potrebbe immaginare. Potrebbe essere che i canali analizzati si siano comportati meglio della media del mercato e che il segmento vino non ha recuperato post crisi 2009, ma certamente il primo semestre 2012, cosi’ come nel 2011 ha chiuso con un saldo di vendite positive, essenzialmente grazie agli aumenti di prezzo, quando i volumi sono stati ancora in leggero calo. C’e’ pero’ un secondo dato molto interessante: che dopo diversi anni di “trading up” nel 2012 i vini da tavola (nella tabella con gli IGT) stanno calando in volume all’incirca come gli altri, ma il loro prezzo sale di piu’ anche in relazione ai forti incrementi del costo della materia prima (e forse siamo soltanto all’inizio…).

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Il clima della vendemmia. Di Angelo Gaja

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E’ il cambiamento climatico, caratterizzato dal perdurare della calura estiva e della siccità, la causa del forte calo di produzione d’uva della vendemmia 2012 in Italia; per la stessa ragione erano state scarse le vendemmie del 2007, 2008, 2009 e 2011. Inevitabilmente si aggiunge ora anche la scarsità presso le cantine delle giacenze di vino delle annate precedenti. Nel volgere di pochi anni si è passati da una situazione di produzione del vino italiano perennemente eccedentaria a quella di penuria.

Il cambiamento climatico ha reso farlocche le previsioni vendemmiali che fioccano a partire dalla fine di luglio: perché calura e siccità si protraggono ormai per tutto il mese di agosto, quando l’uva è formata, asciugandola fino ad avviare fenomeni di avvizzimento degli acini, causando consistenti perdite di peso che sfuggono alle stime affrettate.

Occorre almeno attendere la fine di agosto, dopo che è ormai iniziata la vendemmia delle varietà di maturazione precoce, per rendersi conto delle perdite di peso causate da calura e siccità: i produttori italiani hanno già dichiarato per le varietà precoci cali in tutte le regioni, talora anche elevati. Ma un parziale recupero c’è sempre perché dopo la calura di agosto arriva l’acquata di settembre.

La produzione di vino è in Italia strettamente regolamentata. La superficie a vigneto del paese non può crescere, per piantare un nuovo vigneto occorre prima averne espiantato uno esistente, di pari superficie. Sarà così fino al 2015, poi si vedrà.

Il vino è un prodotto naturale, a determinare la quantità d’uva sono le condizioni climatiche, è il cielo il tetto del vigneto; non è come produrre acciaio, vetro, laterizi, plastica, al riparo delle fabbriche. E’ un concetto che spesso sfugge alla finanza ed a chi commenta i risultati economici del settore vinicolo.

C’è chi teme che il vino italiano venga a mancare, che non se ne  produca più a sufficienza per soddisfare la domanda del mercato interno e mantenere le quote di export faticosamente guadagnate. Già negli ultimi sei mesi l’export ha arrestato la sua corsa ed ha cominciato a flettere. Ma non costituisce affatto un segno preoccupante perché la perdita si concentra sul vino sfuso, buona parte del quale veniva venduto a prezzi stracciati: meglio che resti in Italia ad alimentare la produzione del confezionato. Il prezzo medio per litro di vino italiano esportato è ancora uno dei più bassi, distanziato largamente com’è non soltanto da quello della Francia ma superato anche da quelli degli Stati Uniti, Nuova Zelanda, Cile, Argentina … E’ giusto essere orgogliosi dei vini che si producono in Italia, occorre esserlo meno quando vengono svenduti. Se l’offerta di vino italiano cala e la domanda cresce o resta invariata è inevitabile che i prezzi crescano. Sono già in forte tensione i prezzi delle uve e lo saranno a breve i prezzi del vino all’ingrosso, entrambi rimasti fermi da dieci anni! A crescere saranno anche i prezzi delle bottiglie di vino ora offerte su scaffale a meno di tre euro, che rappresentano il settanta per cento delle vendite presso la grande distribuzione italiana. E’ possibile però che la crescita dei prezzi delle uve e del vino all’ingrosso avviino un processo virtuoso: spronare parte di quei  produttori a migliorare la qualità, ad applicarsi per costruire maggiore domanda nelle fasce dei prezzi medio- bassi, ad imparare a vendere meglio.

E’ ancora il  cambiamento climatico ad introdurre una svolta epocale nella coltivazione della vite. Nelle regioni italiane più afflitte dalla calura si chiede che venga autorizzata anche per i vini a denominazione l’irrigazione di soccorso, fino ad ora vietata;  si dovrà anche imparare a proteggere meglio il vigneto dall’evaporazione dell’umidità del suolo. Prendono vigore malattie della vite che sembravano sopite mentre si avverte forte l’esigenza di un minore impiego di pesticidi in viticoltura. Le conoscenze acquisite in passato devono essere rapidamente integrate con quelle della ricerca, della tecnologia e della capacità di osservazione dei viticoltori. E’ questo il passaggio che al momento desta maggiore preoccupazione.

Angelo Gaja, 7 settembre 2012

Esportazioni di vino australiano – aggiornamento primo semestre 2012

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Le esportazioni di vino australiano continuano nel loro lento declino, che si accompagna a un peggioramento del mix, dai vini imbottigliati ai vini sfusi. A partire da gennaio 2012, secondo il rapporto diffuso da Wine Australia, i volumi di vino sfuso hanno superato quelli di vino imbottigliato. A fine giugno 2012, sui 12 mesi, l’Australia aveva esportato 7.13 milioni di ettolitri di vino, per un valore poco inferiore a 1.9 miliardi di dollari australiani. I volumi sono calati del 2%, il valore del 4%. Il calo del valore è totalmente legato al cambio di mix, con i vini sfusi in crescita del 9% a 3.7 milioni di ettolitri, mentre quelli imbottigliati sono stati in calo del 13% a 3.3 milioni di ettolitri. Secondo il rapporto, il continuo trasferimento da imbottigliato a sfuso riflette la decisione dei produttori di imbottigliare nei paesi di destinazione, invece che in Australia, spinti dalla forza del dollaro australiano (costa di meno imbottigliare all’estero) e alla crescente quota di prodotto venduta alle private labels.

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