Lazio


Lazio – produzione di vino DOC/DOCG – aggiornamento Federdoc 2010

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Non c’e’ da stancarsi mai di dirlo: il Lazio potrebbe avere 5-6 DOC di buona dimensione e lasciarsi indietro i costi burocratici delle altre 20 (perche’ in tutto sono 27…) e credo che pochi se ne accorgerebbero, almeno da un punto di vista commerciale. Nel 2010 secondo Federdoc, il calo produttivo e’ continuato e, guardacaso, ha di nuovo colpito in maniera piu’ che proporzionale le DOC piccole rispetto a quelle grandi. Il Lazio ha due DOC molto importanti e di dimensione rilevante anche a livello nazionale: Castelli Romani e Frascati, la prima ormai stabilizzata su 170-180mila ettolitri, la seconda ancora in calo ma comunque intorno a 100mila ettolitri. Questi due nomi sono dei veri propri marchi nel segmento del vino bianco di qualita’. Vogliamo metterci Marino? Teniamoci Colli Albani ed Est!Est!Est! di Montefiascone? Ma poi, bisognerebbe cercare di fare con le altre 22 DOC che cubano l’imbarazzante cifra di 71mila ettolitri qualcosa di unico, una “superdoc” di ricaduta. Difficile? Forse si’, come molte altre cose in Italia.

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Lazio – produzione di vino e superfici vitate – aggiornamento 2011

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Siamo alla fine della discesa? La produzione di vino del Lazio sembra essersi stoppata nel 2011, dopo anni di costante e sostanziale calo e una superficie vitata che nel corso degli ultimi 10 anni si è dimezzata. Diminuisce anche la produzione di vini di qualità: fino al 2008 potevamo dire che il Lazio riduceva la produzione di vini da tavola per concentrarsi sui vini di qualità: dal 2009 a questa parte la produzione di questi ultimi è rimasta stabile mentre sono calate sia la produzione di vini DOC/DOCG che quella di vini IGT. Il Lazio produce il 2.8% del vino italiano, il 3% del vino DOC e  l’1.5% del vino IGT: nel 2006 produceva il 5% del vino e il 7% del vino DOC italiano.

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Lazio – produzione di vini DOC e DOCG – aggiornamento 2009

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Continua il calo della produzione DOC nel Lazio, misurata da Federdoc in 504mila ettolitri nel 2009 (-6%). Il dato secondo ISTAT nel 2009 era di 642mila ettolitri. Tra le grandi DOC, continua il declino di Frascati e Castelli Romani mentre nel 2009 si e’ stabilizzata la produzione di Marino e resta molto stabile la produzione di EST! EST! EST! di Montefiascone.
Ugualmente, calano in modo significativo le superfici denunciate, pari a 6500 ettari, -10% rispetto allo scorso anno.

Le tabelle complete sono qui allegate
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Lazio – produzione di vino e superfici vitate – aggiornamento 2010

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La produzione di vino nel Lazio continua a calare. Quando guardo a questi numeri penso subito a Stefano e Marco che hanno dedicato un po’ di spazio al problema del vino laziale sul blog. I numeri sono brutti anche nel 2010, ancorche’ va avvertito il lettore che il 75% della produzione cosi’ come la leggete e’ un dato stimato. Stima o non stima, qui la produzione continua a calare (ma non le superfici vitate, curiosamente), e soprattutto calano le due cose chiave: (1) c’e’ sempre meno vino di qualita’ e sempre piu’ vino da tavola; (2) si sta in qualche modo perdendo la tradizione dato che i vini bianchi stanno perdendo molto volume e sui vini bianchi il Lazio aveva costruito la sua tradizione vinicola.

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Il vino laziale, un patrimonio da salvare. Di Stefano Castriota e Marco Delmastro

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E’ per me un onore ospitare sul blog questo contributo di Stefano e Marco. Per due volte nel corso di questi anni queste pagine hanno ospitato un commento dei loro studi sulla reputazione che hanno avuto come oggetto il mondo del vino (gennaio e dicembre 2009). Buona lettura e, soprattutto, buon dibattito. Marco Baccaglio

di Stefano Castriota e Marco Delmastro.

Da anni ormai le più prestigiose guide nazionali ed internazionali bocciano sonoramente la qualità dei vini del Lazio. L’Espresso parla di “ritardo ormai cronico” mentre il Gambero Rosso descrive la situazione come di “Allegro, non troppo”. Nemmeno a livello internazionale le cose vanno meglio. La reputazione all’estero delle denominazioni laziali (DOC e DOCG) è ben al di sotto della media nazionale: il Lazio si ritrova dietro non solo a corazzate enologiche come Piemonte e Toscana, ma deve anche recuperare posizioni rispetto a regioni di più recente affermazione come Puglia, Sardegna, Marche e Basilicata. La figura riporta la reputazione media e massima raggiunta dalle denominazioni delle regioni italiane: il Lazio registra valori tra i piú bassi in assoluto. Questa regione, inoltre, non può sfruttare altri fenomeni di traino commerciale quali la presenza di vitigni o prodotti locali riconosciuti a livello internazionale come sono, ad esempio, il Nero d’Avola ed il Marsala in Sicilia.

Nonostante ció il Lazio è una zona con una lunga tradizione vinicola che risale addirittura a prima dell’avvento degli antichi Romani. Nel Cinquecento gli ettari coltivati a vite erano circa il doppio di quelli attuali, essendo il vino non solo e non tanto una bevanda per accompagnare i pasti o trascorrere del tempo in compagnia quanto piuttosto un vero e proprio alimento ricco di calorie e principi nutritivi. Oggi i cambiamenti nelle abitudini di consumo di vino degli Italiani, con una diminuzione del consumo pro capite ed uno spostamento verso i prodotti di qualità, stanno radicalmente modificando la morfologia dell’enologia nazionale e, quindi, anche di quella laziale. A ciò si aggiunga la crescente pressione concorrenziale da parte dei produttori del cosiddetto nuovo mondo (Australia, Cile, Nuova Zelanda, Sud Africa e Stati Uniti) che stanno conquistando considerevoli quote a livello mondiale.

Le aziende italiane si trovano dunque a dover affrontare la concorrenza dei nuovi produttori sui mercati internazionali e contemporaneamente il progressivo e costante declino dei consumi domestici. In questo scenario il Lazio si trova in una situazione decisamente peggiore rispetto al resto dell’Italia. Con i suoi quasi due milioni di ettolitri è l’ottava regione italiana per quantità prodotta; tuttavia, nonostante la quota di vini DOC (25 denominazioni) e DOCG (la neo-promossa “Cesanese del Piglio”) sul totale della produzione italiana sia superiore alla media nazionale (49% contro 35%), la reputazione di queste denominazioni, come visto, di certo non brilla. Ciò si traduce inevitabilmente in bassi introiti per i produttori regionali e, di conseguenza, in inadeguati investimenti in qualità degli stessi con una spirale viziosa anziché virtuosa.

Più che le costose strategie di marketing che hanno caratterizzato le passate politiche regionali di sviluppo, la rinascita del vino laziale deve passare per la qualità dal momento che, soprattutto per questo tipo di bevanda, l’affermazione di un marchio dipende non tanto dalla pubblicità quanto piuttosto dagli investimenti in qualità. A loro volta, le scelte produttive delle aziende sono influenzate largamente dalle strategie regolamentari adottate da consorzi ed istituzioni.

È quindi urgente un innalzamento degli standard minimi di qualità stabiliti nei disciplinari delle denominazioni regionali (DOC e DOCG). Allo stato attuale non v’è dubbio che i disciplinari laziali siano carenti e non spingano i produttori sul sentiero della qualità. Il confronto riportato nella tabella è inequivocabile, il Lazio ha fissato standard di qualità inferiori da tutti i punti di vista: scelta dei vitigni, produttività delle vigne, titolo alcoolometrico, invecchiamento del vino, presenza di tipologie più selettive e prestigiose (sia per quanto riguarda gli standard in vigna che per quelli in cantina).

Da ció deriva che le scelte di qualità sono lasciate ai singoli che, considerate le limitate dimensioni di partenza e la bassa reputazione del prodotto regionale, incontrano grandi difficoltà ad affermarsi e pochi incentivi ad investire.

Colmare il divario con il resto del paese richiede uno sforzo economico non indifferente nel breve periodo ma può tradursi nel tempo in considerevoli e strutturali guadagni in termini di qualità, reputazione e reddito. Nell’agricoltura di qualità (e non solo) si raccoglie tra dieci anni ciò che si semina oggi. Nel Lazio, purtroppo, si è scelta finora la strategia delle scorciatoie tentando di ottenere risultati con l’affermazione di un ipotetico brand regionale, senza operare al contempo sulla leva degli standard di qualità, con il rischio di conseguire risultati esattamente opposti a quelli sperati. Per raggiungere miglioramenti significativi a livello regionale è necessario uno sforzo simultaneo e coordinato da parte di imprese, consorzi e soggetti istituzionali. Oggi, però, a parte qualche isolato risultato, si ode, dopo un periodo di pailette e lustrini, un assordante silenzio. Basterebbe, forse, semplicemente rimboccarsi le maniche e lavorare per innalzare la qualità dei prodotti regionali.