Dati finanziari


Santa Margherita – risultati e dati di bilancio 2017

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Il 2017 è stato un anno di grandi investimenti per il gruppo Santa Margherita. Dopo aver digerito l’internalizzazione della distribuzione americana (che si conferma essere stato un investimento molto profittevole, avendo apportato 18 milioni di utile operativo sui 45 totali del gruppo), l’azienda ha finalizzato due acquisizioni: a maggio 2017 ha acquistato il 90% di Ca Maiol attivo nella vivace DOC Lugana; a novembre 2017 ha investito per acquisire il 60% di Cantine Mesa in Sardegna (con il 40% detenuto dalla famiglia). Infine, l’azienda agricola interamente controllata ha acquisito circa 11 milioni di euro di vigneti (di cui 10.3 milioni per 44 ettari vitati più altri 10 non vitati nell’area Prosecco DOC).

Dall’altro lato, se è vero che le vendite crescono, il 2017 non si è rivelato un buon anno dal punti di vista dei margini. È un fattor comune del settore, che soffre la scarsa vendemmia 2017 e il conseguente minor rendimento de vigneti di proprietà (oppure il maggior costo delle materie prime da acquistare). In due numeri, le vendite crescono dell’8% a 170 milioni ma l’utile operativo cala del 4% a 45 milioni e l’utile netto del 13% a 26 milioni. La concomitanza di forti investimenti che non hanno ancora contribuito agli utili (o lo hanno fatto solo in parte) e di un anno significativamente danneggiato dalla scarsa produzione provoca uno “scollamento” tra la struttura finanziaria del gruppo, che vede i debiti salire da 62 milioni di euro a 147 milioni, e l’EBITDA (stabile) a 52 milioni. Poco male: la crescente integrazione a valle nella distribuzione, soprattutto in Nord America dove il gruppo genera 94 milioni di vendite, renderà ancora più profittevoli le recenti acquisizioni. Passiamo a qualche commento sui dati 2017.

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I canali di vendita del vino e tipologia di etichette – indagine Mediobanca 2017

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L’analisi dell’evoluzione dei canali di vendita del vino è giocoforza un esercizio di lungo termine. Il cambiamento graduale del campione e la sua parzialità (infatti l’analisi si riferisce al 60% circa del campione Mediobanca) possono determinare piccoli scostamenti tra un anno e l’altro ma la verità di lungo termine non cambia. Per esempio, i dati 2017 che vedete pubblicati mostrano un leggero calo della vendita diretta in % al totale delle vendite, ma si tratta di un dato che si confronta con un forte balzo dello scorso anno ed è allineato a un trend di crescita di lungo termine. È invece in piena coerenza con i dati osservati negli anni passati il calo del peso della grande distribuzione, che comunque resta pur sempre il canale preponderante di distribuzione del vino (ad esclusione dei prodotti sopra i 25 euro, che continuano a essere un segmento in mano alla distribuzione tradizionale e al canale Ho.Re.Ca.). Mediobanca ha poi anche aggiornato al 2018 la lista delle etichette; ne ha censite mediamente 143 per azienda, per un totale di circa 8000. DOC/DOCG e “grandi vini” sono in costante crescita e rappresentano nell’indagine 2018 il 54.6% del totale, un ulteriore piccolo passo in avanti rispetto al 2016 su cui si nota l’aumento soprattutto da parte delle cooperative. Passiamo a commentare qualche dato insieme.

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Advini – risultati 2017

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Il secondo semestre di Advini è andato come, se non peggio, del primo e quindi le conclusioni che si potrebbero trarre dal post di oggi sono sovrapponibili a quelle dello scorso novembre relativamente ai dati del primo semestre. Ci sono progressi, naturalmente: le vendite dei prodotti “propri” rispetto a quelli distribuiti di terzi cresce al 34% del totale e in percentuale del 24% e le acquisizioni continuano con l’operazione su Stellenbosch Vineyards in Sud Africa (10 milioni di vendite e un margine EBITDA tra il 12% e il 15%), che va a completare il posizionamento del gruppo nel paese. A ciò comincia però ad aggiungersi qualche dismissione, perché la situazione finanziaria sta diventando preoccupante, con 168 milioni di debito a fronte di 15 milioni di MOL… per cui si sono stati venduti vigneti e cantine per 6-7 milioni di euro. Ricapitolando il piano al 2020: vendite di 500 milioni di euro, e siamo lontanissimi a 250; proporzione marche proprie al 50% sul totale, e qui ci si potrebbe arrivare, siamo al 34% nel 2017 e il fatturato cresce velocemente in seguito alle acquisizioni; ultimo, un margine MOL del 10% rispetto al 6% attuale, che non da segni di migliorare nonostante il miglioramento evidente del mix di fatturato (da marchi di terzi a marchi propri, da grande distribuzione a clientela tradizionale e HoReCa, oltre a vendita diretta). Mah, i dubbi aumentano. In borsa, sul titolo, calma piatta… veleggia a 35 euro per azione da ormai un anno a questa parte. Per ora andiamo a studiare qualche dato sul 2017.

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I risultati delle aziende vinicole italiane (escluse cooperative) – aggiornamento Mediobanca 2016

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Eccoci alla parte più rappresentativa del campione Mediobanca, che nell’indagine ha allargato il campione a 94 aziende a controllo italiano e non cooperative, con fatturato oltre 25 milioni di euro. In questi dati troviamo diverse cose commentate qualche giorno fa, quelle positive di sicuro, mentre quelle negative qui diventano o neutre o leggermente positive. Mi riferisco all’andamento dei margini, leggermente in crescita per le aziende, e del ritorno sul capitale, anch’esso in progressione, sebbene a ritmi più contenuti che in passato. In generale il 2016 è stato di nuovo un buon anno: le vendite crescono del 5%, un po’ meno del 2015 (ma nel 2017 sono previste in ri-accelerazione, +6.5%), il MOL sale del 6.5% e l’utile operativo dell’8%, toccando quota 10% sul fatturato e 378 milioni di euro. In un’ottica decennale, che ormai possiamo permetterci avendo i dati indicizzati addirittura dal 2004, la crescita del settore vinicolo privato italiano è del 5% a livello di fatturato e di utile operativo, del 5.6% annuo a livello di capitale investito e dell’1.4% nel numero dei dipendenti (ma qui ovviamente stiamo parlando di teste e non di euro, mentre in termini di costo del personale la dinamica è simile agli altri dati, +4.8% annuo). Ma passiamo a commentare qualche dato particolare.

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Italian Wine Brands – risultati 2017

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Italian Wine Brands ha centrato nel 2017 una serie di traguardi: ha azzerato il debito, sceso da 33 milioni di euro a 2 (anche grazie all’aumento di capitale del 2015, ma la generazione di cassa è stata positiva) e ha rimesso in carreggiata il conto economico con un taglio di costi e una riorganizzazione dell’attività della Giordano Vini. Il 2017 si chiude quindi con 150 milioni di ricavi, un dato non distante da quello degli ultimi anni, un EBITDA rettificato risalito a 16 milioni di euro (14 milioni dopo gli oneri straordinari) e un utile netto rettificato per gli oneri straordinari di 8 milioni di euro (6 quello dichiarato). Un problema non è ancora stato risolto: le due anime della società continuano a viaggiare in senso opposto: cresce la parte B2B della Provinco, +11% nel 2017, con una proiezione completamente estera, e cala del 7% l’anima B2C della Giordano Vini, pur con margini in forte ripresa, alle prese con un l’andamento negativo del mercato italiano (-9%) ma anche con la difficoltà a far funzionare il modello all’estero, come in Svizzera, in Inghilterra e in Germania. Tutti mercati dove l’andamento è altalenante. L’azienda ha oggi ha un valore di mercato 92 milioni di euro (circa 14 euro per azione) ed è cresciuta di oltre il 40% negli ultimi 12 mesi, riscattando un periodo iniziale piuttosto negativo. “Tratta” dunque a un multiplo di poco più di 11 volte gli utili e circa 8 volte l’utile operativo, uno dei valori più bassi del mercato, ma deve ora superare l’esame della crescita, sia per via interna (compensando e rinvigorendo la parte B2C) e mettendo in pratica una strategia volta a continuare a crescere nei mercati esteri ma anche ad aggiungere nuovi brand al portafoglio, magari attraverso acquisizioni. Passiamo a commentare i dati.

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