La divisione vini di Foster’s continua ad andare piuttosto male: nel corso del primo semestre 2009-10, i volumi sono calati ma, soprattutto, e’ crollato il margine. Oltre alla sovrapproduzione e alla tendenza dei clienti a scegliere prodotti meno cari adesso ci si e’ messo anche il dollaro Australiano, che si sta rivalutando pesantemente, rendendo cosi’ i prodotti di Foster’s meno appetibili sui mercati esteri. Siccome l’aziende e’ tutto meno che in grado di aumentari i prezzi per recuperare il rafforzamento della valuta, ne subisce in pieno l’impatto negativo (AU$83m a livello di utile operativo). La strategia del gruppo va comunque avanti: vendita di tutte le vigne e tenute non essenziali, focalizzazione su pochi marchi ben definiti in ciascun mercato, ristrutturazione dell’approccio alla distribuzione e maggiore azione diretta sui consumatori finali. Intanto, con i primi sei mesi dell’anno fiscale 2010, possiamo dire che il vino sta diventando sempre meno importante per il gruppo, dato che ha generato soltanto il 18% dell’utile operativo semestrale contro quasi il 40% di qualche anno fa. Per questo motivo, Foster’s sta continuando a cercare una soluzione per valorizzare la sua presenza nel settore vino: da tempo ormai si parla di una possibile fusione con AV (Australian Vintners).
Dal punto di vista strategico, un segnale di speranza viene da questo commento del management, che vi lascio virgolettato: ” On a positive note, the influence of the millennial generation is making its mark on the wine category and bodes well for the future, as this new demographic group of a little over 50 million consumers aged 21 to 29 have embraced wine at an earlier stage than their predecessors, and are experimenting with wines at higher price points, including imports.” Una volta di piu’, la conferma che per il vino uno dei mercati chiave saranno gli USA, anche dal punto di vista demografico e culturale.
Nel periodo luglio-dicembre 2009, il segmento vino ha subito un calo delle vendite del 13%, di cui il 4% dovuto ai volumi e il 9% ai prezzi e ai cambi. I volumi sono calati in realta’ nel mercato australiano e asiatico (-14%), mentre sono sostanzialmente stabili sia in America (-1%), che in Europa (+2%, grazie al rilancio di grande successo della distribuzione diretta nei paesi nordici). Le vendite subiscono l’impatto del cambio: il -14% in Australia-Asia diventa un -7% in termini di vendite in dollari australiani, mentre la stabilita’ di volumi negli altri mercati si trasforma in un calo del 16%.

L’utile operativo scende di conseguenza. I numeri sono come dicevamo molto influenzati dai cambi: l’utile operativo e’ crollato del 59% da 243 a 99 milioni di dollari. Di questo calo di 143 milioni, circa 83 sono dovuti al cambio, il resto dalla riduzione dei volumi (-4% a 19.1 milioni di casse). In Australia-Asia il calo e’ meno limitato, -42%, mentre in Europa e in America la profittabilita’ e’ letteralmente crollata: il margine operativo in America passa dal 20% al 9%, in Europa dal 22% al 6%.
Per fortuna per Foster’s c’e’ il business della birra, che sta continuando a dare soddisfazioni: anche per questo motivo, guardando i numeri totali del gruppo, se ne ricava un’immagine meno grigia: il fatturato cala del 5% e l’utile operativo scende del 13%. Ma soprattutto, Foster’s continua a migliorare la sua struttura finanziaria: il debito e’ in discesa costante, avendo toccato i 2.2 miliardi di dollari australiani a dicembre rispetto ai 2.6 miliardi di giugno 2009 e ai 3 miliardi di 12 mesi prima, il tutto frutto di una generazione di cassa molto elevata (circa 400 milioni di dollari australiani), a investimenti eccezionalmente contenuti (solo 17 milioni di dollari!) e alla riduzione del debito espresso in valuta estera (contropartita del danno fatto agli utili dal dollaro forte).
