Il futuro del vino di qualita’ – intervento al convegno organizzato presso Ca’ del Bosco

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Lo scorso martedì ho avuto l’onore di partecipare a un convegno sul futuro della qualità del vino, tenutosi presso la tenuta Cà del Bosco a Erbusco. Quello che Maurizio Zanella definisce il “numero zero” di un dibattito sull’evoluzione della qualità del vino in Italia si è rivelato un incontro molto interessante, dove si sono scontrate le visioni di produttori di vino orgogliosamente artigiani e illuminati con la realtà (ben rappresentata dal luogo dove l’incontro si è svolto) di un’azienda che con oltre 2 milioni di bottiglie vendute si presenta come una vera e propria macchina da guerra oliata alla perfezione per massimizzare la qualità del suo prodotto.

Si è parlato di tradizione, di come comunicare il vino, di tendenze dei consumi con particolare riferimento alle recenti “derive” del biologico.

Per parte mia, e di seguito trovate il mio intervento così come l’avevo preparato (ed espresso nell’incontro), la questione del futuro della qualità del vino è centrale per evitare che questo settore diventi, come altri nel nostro paese, una fonte di minacce invece che di opportunità. Il riferimento che troverete all’industria automobilistica non è casuale. La mia, nell’ambito di una serie di interventi piu’ tesi verso gli aspetti di comunicazione, e’ una voce un po’ fuori dal coro che cerca di porre la questione in termini piu’ “aziendalistici”.

A mio avviso, probabilmente oggi il problema principale del vino italiano è quello della mancanza di marchi forti. Se sulla qualità intrinseca del prodotto si può sempre lavorare,  oggi credo che il lavoro debba focalizzarsi di più sugli aspetti intangibili del prodotto, sul marchio. È necessario lavorare sul valore che i consumatori percepiscono del prodotto, perchè in quello ci sono gli spazi maggiori per fare la differenza. Come su molti altri aspetti in questo settore (ma anche in quello del lusso), la Francia può insegnarci diverse cose su come valorizzare i marchi e “staccare” il valore del prodotto dal suo valore intrinseco.

Segue l’intervento.

 

Buongiorno a tutti, sono onorato di partecipare a questo evento e portare il mio contributo. Come redattore di un blog che si chiama “I numeri del vino” cercherò di fornirvi qualche numero e qualche concetto per portare avanti la discussione sul tema della qualità e di come può essere coniugata con il del tema “biologico”.

Partiamo proprio con i numeri, che sono pubblici e forniti da un organismo chiamato SINAB. Questa sera il blog “I numeri del vino” pubblicherà i dati sulla viticoltura biologica del 2011.

  • I numeri dicono che le superfici bio in Italia sono l’8% della superficie vitata, considerando sia quelle convertite che quelle in fase di accreditamento.
  • Si tratta di 53mila ettari, di cui 19mila circa in conversione. Quello che leggerete stasera è che gli ettari “già” biologici nel 2010 erano 43mila mentre nel 2011 sono scesi a 34mila: stanno calando insieme alla superficie vitata generale. Nel 2011 si può stimare che a fronte di 12mila ettari “entrati” a far parte della categoria, circa 20mila ne sono usciti.
  • La localizzazione geografica ci fornisce ulteriori indicazioni e ci fa comprendere che la viticoltura biologica è un fenomeno regionale e non nazionale.
    • Primo, la viticoltura biologica è soprattutto concentrata nel centro sud dell’Italia. Il 30% è in Sicilia, il 15% in Puglia, il 10% in Toscana, il 7% in Abruzzo e così via.
    • Secondo, la penetrazione per regione ci dice, di nuovo, che l’8% nazionale è una media del pollo. Ci sono regioni dove si scommette pesantemente sul biologico come l’Umbria (24% del vigneto), Calabria (24%), Marche (21%), Sicilia (14%), Basilicata (12%), Abruzzo (12%), Lazio (11%). Ci sono regioni dove invece questa pratica non viene adottata, e queste regioni sono soprattutto nel centro nord del paese: la conversione al biologico riguarda il 5% o meno dei vigneti in quasi tutto il Nord Italia, quindi Piemonte e Liguria, Lombardia, Friuli Venezia Giulia, Trentino Alto Adige e Veneto.

 Quindi i numeri del SINAB ci dicono che il fenomeno non è più in crescita tumultuosa come è stato negli ultimi anni e che è una pratica che non è abbracciata in modo uniforme nel paese. Ci sono probabilmente ragioni climatiche (è più difficile coltivare un vigneto biologico che uno “trattabile”) ma certamente il fatto che nel Nord, dove una buona parte del vino di qualità e concentrato, non abbia abbracciato la pratica dovrebbe fare pensare.

 Inquadrare il discorso a partire dal consumatore e dalle sue preferenze e corredarlo di numeri è più difficile. Il consumo di vino si sta trasformando, da quantità a qualità, da volume a valore, da consumo abituale a consumo sporadico, da alimento a bene voluttuario.

Tutti questi concetti continueranno a trasformare il modo di produrre e di vendere il vino.

Attualmente, pochi studi sono disponibili sul concetto di vino di qualità e sulla “deriva” biologica. Quello che mi sembra di poter dire è di non aver visto nessuno studio dove i consumatori associano il concetto di qualità al concetto di “biologico” nel vino come sembra essere vero in altri alimenti.

Qualcuno comincia a pagare un premio per avere vini senza solfiti o con contenuto ridotto, ma di nuovo la qualità oggi è legata ad altri aspetti. Alcuni studi in USA hanno evidenziato che il prezzo dei vini ha una correlazione con i giudizi delle guide, mentro meno evidente è la connessione con i temi “biologico”.

 Tutto ciò per concludere che in questo momento il tema del vino di qualità è centrale, perchè il consumo si muove in quella direzione. Mutuando l’esperienza di altri settori dove il tema della qualità è importante, mi sembra che:

  • Il concetto di qualità va comunicato con un marchio. Il valore del marchio va coltivato ed è importante per identificare il prodotto di qualità e consente di “staccare” il valore del prodotto dal suo valore intrinseco.
  • Quindi, c’è una chiara correlazione tra la qualità del prodotto, il valore del marchio e il ritorno economico di chi lo produce. Il prodotto FIAT oggi perde soldi, il prodotto BMW guadagna il 5-6% del fatturato,  il prodotto Porsche il 10%, il prodotto Ferrari oltre il 15%. Il “lusso” paga e questo deve certamente essere vero anche nel mondo del vino.
  • Il tema del “biologico” può essere un complemento a costruire la qualità di un prodotto ma certamente un vino di qualità deve prima “essere considerato buono” dai consumatori e avere un marchio che ne esprima un concetto, così come il marchio BMW esprime performance superiori e il marchio Mercedes solidità.
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Fondatore e redattore de I numeri del vino. Analista finanziario.

3 Commenti su “Il futuro del vino di qualita’ – intervento al convegno organizzato presso Ca’ del Bosco”

  • Gianpaolo

    stimolato dal dibattito, anche io ho cominciato a pensare al futuro del vino di qualita’. Il primo scoglio e’ pero’ quello di definire cos’e’ il “vino di qualita’”. Se per vino di qualita’ si intende quello delle aziende medio piccole, o addirittura piccole, e’ un conto. Se invece e’ vino di qualita’ anche quello delle aziende grandi, mi pare difficile che si possa arrivare a conclusioni omogenee. Tanto per fare un esempio, Concha Y Toro, azienda cilena che produce e vende circa 360 milioni di bottiglie (870 milioni di dollari di fatturato), produce vino di qualita’? Per molti versi direi proprio di si. E’ uno dei marchi piu’ forti a livello mondiale, i suoi vini si trovano dovunque, dalla ristorazione ai supermercati. Prende punteggi sopra i 93 punti da wine spectator, ha appenza acquistato la californiana Fetzer. Insomma, un gigante, in un mondo spesso popolato di nanetti.
    Ma un azienda come la mia, e come questa, hanno lo stesso futuro? Io francamente ci credo poco, per questo motivo mi riesce difficile trovare una risposta convincente alla domanda “il futuro del vino di qualita’”. Si d’accordo, ma di quale vino si parla?

  • bacca

    Ciao Gianpaolo,
    io tendo a fare confronti “orizzontali”. Cioe’ considero il vino di qualita’ il vino “che offre qualcosa di piu'” in cambio di qualcosa di piu’. Non esiste un vino di qualita’ assoluta e un vino non di qualita’, esistono diversi livelli di qualita’, come quando scegli di comperarti una FIAT o una BMW.
    Quindi per me qualita’, e’ una scala e non un on/off. Secondo, qualita’ non e’ soltanto il prodotto intrinseco, ma e’ una serie di aspetti che coinvolgono tutta l’esperienza di chi consuma quel prodotto, inclusa l’appartenenza al marchio. Ho in mente un paio di amici che amano menzionare il fatto che bevono dei prodotti di “Antinori”, per esempio. Questo e’ un pezzo della qualita’ di quel prodotto, perche’ porta quel marchio.
    Tutto quello che va oltre il costo materiale e totale di produzione (oltre il suo giusto margine) e’ un “intangibile” che da’ un’idea della differenza tra qualita’ percepita del prodotto e qualita’ materiale.

    Il caso “automobilistico” e’ molto divertente secondo me: la Ferrari ha un margine operativo del 15-20%, cioe’ una macchina venduta a 200mila euro ha un costo TOTALE tutto incluso (anche la pubblicita’ e la promozione e il margine del venditore) del 20% inferiore al prezzo. Una Bravo prodotta in Italia perde soldi, cioe’ costa di piu’ di quello a cui viene venduta.

    una visione materialistica della qualita’ rapportata al prezzo ti suggerirebbe di comprare la Bravo…

    bacca

  • Gianpaolo

    giusto il tuo commento, e quindi l’analogia con il settore automobilistico. Ma per l’appunto, nessuno si sognerebbe di parlare del settore delle “automobili di qualita’”, ma vengono piu’ opportunamente suddivise in classi omogenee. Quello che per il vino invece non viene fatto, coltivando l’illusione che Antinori sia confrontabile con l’azienda pinco pallino.

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