Contributi esterni


Wine Digital: un potenziale grezzo. Di Christian Forgione

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A fine Febbraio 2020 Audiweb, ente che certifica l’utilizzo di strumenti digitali di noi italiani, ha dichiarato che passiamo in media 2,5 ore collegati al web con il nostro smartphone. Se ci fosse ancora bisogno di un segnale di come nessuna cantina possa sottovalutare l’aspetto digitale, questo è solo uno dei tanti dati. Oggi viviamo in un’epoca dove ognuno di noi è collegato e può ottenere informazioni, acquistare un vino, scegliere il prossimo viaggio enoturisitico con un click. Il mondo digitale abbraccia le nostre vite integrandosi con la vita quotidiana. In questo contesto il mondo del vino non è esente, anzi si presenta in crescita, ma ancora con ampi margini di miglioramento.

A parlare sono i numeri; numeri che io e il mio team abbiamo esaminato attraverso l’analisi di oltre 200 cantine (sparse per il Nord, Centro e Sud Italia, con una produzione inferiore alle 250000 bottiglie) e che hanno dato vita alla ricerca “wine digital potenziale grezzo infografica B”. Un’indagine riguardante la presenza digitale delle cantine di vino, la quale ci ha consentito di ottenere numerosi spunti di osservazione, utili ad inquadrare lo stato attuale del mondo enologico in materia digitale.

I dati raccontano di un trend positivo se si parla di mera adozione di canali digitali o di una presenza minima online, ma collegando i dati tra loro si notano tre aspetti che fotografano ancora parecchie lacune nell’utilizzo consapevole e finalizzato al raggiungimento di obiettivi commerciali.

  • Il 21% delle cantine analizzate non si preoccupa di far coincidere gli stessi dati (es. indirizzo, numero di telefono, mail…) tra i vari punti digitali! Quindi, un utente, ergo potenziale cliente, una volta su cinque quando cerca una cantina su Google si trova senza informazioni certe. Ciò implica il rischio che la persona in questione possa abbandonare la navigazione e/o cambiare cantina della quale informarsi.
  • Il 90% delle cantine utilizza i social senza investimenti in Advertising. Questo è un dato che racconta di come non sia chiaro l’utilizzo dei social media aziendali, da non confondere con i profili personali dei produttori.
    I profili aziendali non sono strumenti gratuiti, ma bensi dei PAY MEDIA. Pensare che da soli i contenuti portino chissà quale risultato è come sperare di vincere al SuperEnalotto. Ora mentre stai leggendo sono stati pubblicati sul web circa 150.000 foto solo su Instagram… Spero di aver reso l’idea. La concorrenza non è solo alta, è impossibile da reggere senza investimenti.
  • Il 30% delle cantine (dato ancora più grave se si pensa che l’analisi è stata svolta in piena pandemia) non ha risposto ad una semplice mail informativa entro due giorni lavorativi. Il che ci racconta di come certi strumenti siano stati creati quasi per obbligo. Mi dispiace ripetermi, ma quel che manca ancora volta è la consapevolezza di quel che sta accadendo. Il solo e magnifico passaparola non sarà più sufficiente, se non correttamente gestito e gli agenti o commerciali, per quanto bravi, faranno sempre più fatica perché oggi la fase di acquisizione di informazioni viene svolta online.

Sempre più spesso, una persona sceglierà di visitare una cantina, comprare una bottiglia di vino, inserire un prodotto nella carta dei vini del suo ristorante, in base anche ai contenuti trovati in rete. Viviamo in un mondo iper integrato con il digitale ed è per questo che anche le cantine devono iniziare ad includere l’online con coscienza nelle loro attività professionali quotidiane.

(Contenuto sponsorizzato)

 

Nessuno ha la verita’ in tasca – di Angelo Gaja

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Tra il 1850 ed il 1890 si abbatterono sulla viticoltura europea l’oidio e la peronospora, fitopatologie nuove ed aggressive come non si erano mai viste nei secoli precedenti. I viticoltori dovettero imparare a combatterle sistematicamente con l’impiego di antiparassitari, zolfo e rame, se volevano salvare la produzione d’uva. Come non bastasse, qualche tempo dopo arrivò la fillossera ad innescare la moria delle viti, a seguito della quale si fu costretti ad estirpare la totalità dei vigneti per reimpiantarli successivamente su portainnesto di vite americana, quest’ultima resistente alla malattia. Sembrò a quel tempo che la viticoltura europea ricevesse un colpo mortale. Non fu possibile allora attribuire il disastro al supposto cattivo stato di salute della viticoltura causato da un impiego eccessivo della chimica, perché non se n’era mai fatto uso prima; alla monocoltura, perché si era sempre praticata la policoltura; alla perdita di biodiversità, perché non ce n’era mai stata così tanta. Ci fu un ampio abbandono della viticoltura in favore di altre coltivazioni. Poi, gradualmente, si trovarono le contromisure e nel secolo scorso si individuò nella chimica il mezzo più efficace per contrastare le fitopatologie attraverso l’impiego di antiparassitari, definiti via via anche come fitofarmaci, pesticidi, veleni chimici. E la chimica, a farla da padrona, continuò a fornire altri prodotti ancora da impiegare in qualità di fertilizzanti e diserbanti. E’ nel secolo corrente che prende forza la domanda di una agricoltura che faccia meno ricorso alla chimica e si affermano per il cibo l’esigenza della sanità, a protezione della salute del consumatore, e della pulizia, affinché la coltivazione non divenga inquinante per l’ambiente.

L’obiettivo primario di ridurre l’impatto della chimica in viticoltura viene oggi perseguito con la lotta integrata, che riduce l’uso di antiparassitari integrandoli con prodotti che non sono di origine chimica; la conduzione biologica, che limita l’uso di prodotti chimici ai soli rame e zolfo; la conduzione biodinamica che esclude l’uso della chimica. Ma non ci si può fermare soltanto qui. Vanno utilizzati anche quei sistemi che consentono di arrivare a produrre viti che offrano una buona resistenza alle malattie, inseguendo così l’obiettivo di contenere/abbattere il ricorso alla chimica per combatterle. La recente scoperta del sequenzionamento del genoma della vite offre oggi alla ricerca nuove importanti opportunità: di individuare le viti che ospitano il gene della resistenza (al patogeno) e trasferirlo nel genoma di viti che non lo posseggono. Pratica da avviare attraverso l’impiego di biotecnologie che non sono equiparabili agli OGM transgenici. Andrà chiesto ai vivaisti di dedicare maggiore attenzione al materiale derivante da selezione massale, per non affidarsi totalmente alla selezione clonale che produce viti più fragili. Al fine poi di recuperare salute al vigneto, andranno estese le pratiche che consentono di rafforzare la vitalità del suolo. La strada per abbattere l’uso della chimica nel vigneto è lunga, se la si vuole condurre con successo va percorsa senza paraocchi, utilizzando tutti gli strumenti disponibili.

Angelo Gaja

Troppo caldo nei vigneti. Di Angelo Gaja

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Anche i viticoltori e produttori di vino guardano in modo diverso al clima che cambia.
E’ generale la percezione degli eccessi, delle temperature medie giornaliere più elevate, l’avvio precoce nel vigneto della fase vegetativa, l’accelerazione della maturazione, le vendemmie anticipate.
Quelli che guardano ai benefici fanno osservare che, rispetto al passato, le vendemmie di buona qualità sono più frequenti. Vini che si presentavano gracilini ed acidosi, appaiono oggi più strutturati ed armonici se non anche propensi ad esibire i muscoli. Mentre per altri il clima che cambia è foriero di preoccupazioni: la recrudescenza delle malattie parassitarie vecchie e nuove; la sofferenza dei vigneti a causa di periodi troppo a lungo siccitosi; i grappoli esposti alle scottature ed alla luce solare troppo intensa; le uve che arrivano in cantina troppo calde, con gradazioni zuccherine elevate, ancora coperte di antiparassitari che la siccità non ha concesso di dilavare; i bassi livelli di acidità del mosto; la gradazione alcolica dei vini che mostra nel tempo la progressione a salire.
Il cambiamento climatico agisce allo stesso modo sul vigneto indipendentemente dalla tecnica di conduzione: convenzionale, biologico, biodinamico. Un lungo articolo su LE MONDE del 7 novembre 2015 dedicato al “colpo di calore sui vigneti” evidenzia le forti preoccupazioni al riguardo, non soltanto per le sorti della viticoltura del Sud della Francia. Il polo universitario di Bordeaux ha avviato da un decennio progetti di ricerca scientifica volti ad individuare viti più idonee a fronteggiare gli effetti del cambiamento climatico.
E’ urgente dare maggiore impulso alla ricerca anche in Italia: per migliorare l’adattamento dei portainnesti al mutamento del clima in atto e per cercare di mettere al riparo le viti storiche italiane da alcune delle malattie più insidiose. Per fare ciò occorre che il nostro paese autorizzi i ricercatori ad accedere alle nuove tecniche di incrocio, la cisgenesi ed il genome editing, attraverso le quali è possibile trasferire geni (di resistenza a determinate fitopatologie) da viti che ne sono in possesso a viti che sono carenti. Si metterebbe così ancora una volta a frutto il patrimonio unico di viti storiche italiane, attingendo alle diversità che le caratterizzano.
Però occorre agire, utilizzando sia fondi pubblici che privati. Lo stallo attuale non serve al mondo del vino italiano.

Angelo Gaja
novembre 2015

Appunti di viaggio: BRASILE, 16-20 marzo 2014. Di Angelo Gaja

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Il Brasile è un Paese decisamente avviato lungo la strada, non proprio in discesa, della democrazia. E’ ricco di risorse naturali ed anche di diseguaglianze sociali che non lo rendono triste però, perché sa guardare al futuro con ottimismo.

Per il vino italiano il Brasile resta una promessa incompiuta. Le statistiche dicono di un 2013 chiuso per l’Italia con un export in calo del 17% in volume, ed un valore pressoché pari a quello dell’anno precedente.

Rispetto ai vini europei, quelli importati dal Cile e dall’Argentina godono di tassazione agevolata.

In generale in Brasile i beni considerati di lusso vengono tassati da extra-lusso. I consumatori dei vini di prezzo elevato ci sono: molti di essi preferiscono però acquistare le bottiglie dei vini premium sui mercati esteri, New York, Londra, piazze europee,… perché meno care che nel proprio Paese, ed importarle poi per vie traverse (le maglie dei controlli sono molto larghe).

La cultura del vino cresce, ma lentamente. La birra fa ombra al vino.

Sao Paulo si beve il 50% del vino importato. La città venne fondata nel 1556 dai gesuiti, affiancati dai francescani e dai benedettini. Oggi conta 8 milioni di abitanti, mentre la grande Sao Paulo supera i 20 milioni di abitanti. La vastità del Paese limita il numero di importatori che operano su base nazionale, tra questi brillano per la specializzazione nel settore dei vini italiani:

MISTRAL  www.mistral.com.br

DECANTER www.decanter.com.br

inevitabilmente con il portafoglio pieno zeppo di cantine. Numerosi gli importatori più piccoli che operano su base locale e guardano con crescente interesse anche ai vini artigianali.

Per chi è alla ricerca di un importatore un riferimento prezioso è quello di:

Stefano Zannier, e-mail: stefanozannier@vol.com.br –  -originario di Spilimbergo (PN), vive a Rio de Janeiro per lunghi periodi dell’anno ed ha ottima conoscenza del mercato del vino in Brasile.

Ho incontrato durante il mio viaggio diversi giornalisti, bene informati sui vini italiani. Ne cito uno tra essi che parla anche un italiano fluente.

Roberto Gerosa, betogerosa63@gmail.com –  www.vinho.ig.com.br

L’importatore dei nostri vini, Mistral, mi ha organizzato una cena per clienti privati presso l’ottimo ristorante ATTIMO di Sao Paulo ecfernandes@attimorestaurante.com.br

Anche i brasiliani subiscono gli effetti del cambiamento climatico. Nei mesi per loro estivi di dicembre-febbraio le precipitazioni sono state scarse, i livelli dei bacini idroelettrici si sono abbassati, si temono black out elettrici per i prossimi avvenimenti sportivi. A Rio, il 19 marzo la temperatura diurna era di 38° C, decisamente sopra la norma.

Cresce nel Paese l’interesse per l’industria vinicola locale. Ho assaggiato dei buoni spumanti prodotti nella provincia del RIO GRANDE DO SUL, a sud della nazione, al confine con l’Uruguay; ove già sono installate più di 300 cantine. Nell’arco di qualche anno il Brasile arriverà ad occupare una posizione di rilievo tra gli stati produttori di vini spumanti dell’America del Sud.

Per i mondiali di calcio i ritardi accumulati nella costruzione/ristrutturazione degli stadi ed infrastrutture fanno temere di non vedere i lavori ultimati per tempo e sono causa di elevata lievitazione dei costi. In questo non poche somiglianze con l’Italia. Anche da noi, da lungo tempo ormai, in occasione di eventi celebrativi, dal momento della decisione di fare partecipare il Paese all’avvio dei lavori occorrenti per le nuove strutture, i ritardi si sprecano. L’inizio delle attività viene dato all’ultimo momento, quando si rischia di non portarle a termine. A quel punto la fretta suggerisce per l’assegnazione degli appalti di seguire un iter accelerato, che offre scarse garanzie di trasparenza; si fa ampio ricorso ad ore di lavoro straordinario, i costi lievitano … che lo facciano apposta ?

Angelo Gaja

12 maggio 2014

SPAGNA, il paese che fa concorrenza all’Italia del vino. Di Angelo Gaja

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Non dobbiamo pensare di essere soltanto noi italiani ad avere l’esclusiva di produzione dei vini derivanti da varietà storiche/autoctone. L’altro Paese che ne ha di proprie e diverse dalle nostre è la Spagna. Solo per citare le più affermate: tra le rosse Tempranillo (nelle diverse declinazioni di Tinto), Bobal, Garnacha Tinta, Monastrell, Carinena, Mencia… e tra le bianche Airèn, Pardina, Macabeo y Palomino, Albarino, Godello, Verdejo, … Non ne enumera così tante come l’Italia, ma ne è ricca anch’essa. Come per l’Italia anche per la Spagna le varietà internazionali (Chardonnay, Cabernet, Merlot, …) costituiscono una minoranza. E’ certo che per i consumatori esteri amanti dei vini da varietà autoctone/indigene i due Paesi di riferimento sono l’Italia e la Spagna.

Sui dati della produzione nazionale di vino spagnolo i numeri non sono ancora ufficiali: la vendemmia 2013 dovrebbe attestarsi sui 46 milioni di ettolitri, se fossero di più – si saprà tra qualche mese –  la Spagna diventerebbe il primo Paese produttore al mondo superando di un soffio l’Italia.

In termini di volumi venduti sui mercati esteri il vino spagnolo occupa la seconda posizione, molto vicina all’Italia.

Il prezzo medio per litro di vino spagnolo esportato è meno della metà di  quello italiano, che non è affatto elevato. Ne consegue che sui mercati esteri alle bottiglie di vino spagnolo viene spesso riconosciuto l’ottimo rapporto qualità/prezzo; anche per lo sfuso la Spagna è in grado di offrire i prezzi più bassi. A costringere i produttori spagnoli ad esplorare i mercati esteri è una produzione nazionale esuberante rispetto al consumo interno di vino che è decisamente  inferiore a quello di Francia ed Italia.

Grande punto di forza dell’Italia sui mercati esteri è la presenza di ristoranti di cucina italiana che  funzionano da ambasciatori dell’agro-alimentare e del vino italiani. La Spagna non gode dello stesso vantaggio, nonostante nell’ultimo decennio il richiamo di Ferran Adrià e della scuola di alta cucina spagnola abbia attirato all’estero maggiore attenzione e prodotto qualche emulo, mentre l’interesse odierno più concreto resta per l’apertura di locali di tapas che si stanno gradualmente diffondendo anche in Asia.

La Spagna ha goduto largamente di elevati contributi comunitari per la ristrutturazione dei vigneti. E’ cresciuto il numero delle cantine, di poco superiore a 5.000, che resta però largamente inferiore a quello dell’Italia, oltre 30.000. Ne consegue che la Spagna gode assai meno del vantaggio che invece ha l’Italia di avere un numero elevato di produttori che viaggiano sui mercati esteri a raccontare  vini e luoghi ad  essi connessi, a fare marketing.

Come l’Italia anche la Spagna è un paese di elevati flussi turistici e gioca la carta delle territorialità.

Un sicuro vantaggio per la Spagna è il fatto di possedere, tra i Paesi occidentali, la seconda lingua maggiormente parlata dopo l’inglese.

Dei molti bravi produttori spagnoli voglio citarne tre che per il loro percorso costituiscono, secondo me, dei modelli, degli esempi dai quali è possibile anche per noi italiani trarre qualche insegnamento, perché no?

 

VEGA SICILIA  www.vega-sicilia.com

Ad acquistare nel 1982 la prestigiosa cantina è stata la famiglia che fa capo a Pablo Alvarez, uomo di poche parole, concreto, eccellente organizzatore, capace di circondarsi di qualificati collaboratori, che ha rinnovato totalmente la cantina di Vega Sicilia elevando i vini a livello di eccellenza, attribuendo loro piena visibilità sui mercati esteri, rendendoli costantemente presenti nelle aste internazionali a guisa di  riferimento  per i vini spagnoli.

Pablo Alvarez ha poi largamente investito in altre aree: in Ungheria/Tokay, con la cantina Oremus, ed in Spagna nelle aree di Valladolid, Toro, Rioja Alavesa.

 

TELMO RODRIGUEZ  www.telmorodriguez.com

Di scuola bordolese, nel 1994 con un paio di altri enotecnici fonda la ditta che nel tempo diventa “COMPANIA DE VINOS TELMO RODRIGUEZ”. L’obiettivo è di individuare nelle varie aree viticole (Rioja, Galicia, Ribera, Toro, Avila, Malaga, Alicante, Rueda) vecchi vigneti di varietà autoctone da recuperare ed affittare, vinificarne le uve presso cantine sia proprie che di altri produttori ed imbottigliare con il proprio marchio. Telmo Rodriguez non è un consulente, ma lavora in proprio. Ha contribuito a recuperare varietà che nel tempo erano state trascurate ed ha fatto crescere l’interesse a produrre vini originali, di luogo, nelle varie aree spagnole di vocazione. E’ stato d’esempio per altri produttori. E’ anche un ottimo comunicatore;i suo vini sono esportati in numerosi Paesi.

 

TORRES: www.torres.es

Cantina guidata da Miguel A. Torres, presidente e uomo di grande carisma. Giusto per dare un’idea, TORRES sta alla Spagna come ANTINORI sta all’Italia del vino. L’azienda opera attraverso 27 cantine di proprietà in Spagna, California, Cile ed ha oltre 2.500 ettari di vigneti propri. Torres è da anni all’avanguardia in Europa nei progetti di sostenibilità ambientale, sociale, economica. I vini godono di elevata visibilità internazionale essendo esportati ovunque. Molto interessante l’atteggiamento di apertura e di ricerca di sinergie che TORRES dimostra in numerose nazioni estere  ove opera con la propria ditta di importazione e distribuzione, unendo ai propri vini in portafoglio anche quelli di altri  produttori dell’Europa – italiani compresi –  e del Nuovo Mondo di grandi-medie-piccole dimensioni.  Un modo efficace di FARE SISTEMA. Non c’è nessun produttore italiano che faccia altrettanto.

 

Angelo Gaja, 13 gennaio 2014