Fonte: AAWE
Stefano Castriota and Marco Delmastro hanno colpito ancora, pubblicando un interessante articolo sulla reputazione. In questo caso pero’ lo studio cerca di esaminare le determinanti della reputazione collettiva. Non sul singolo produttore ma bensi’ sulle denominazioni di origine. Lo studio parte considerando le 1424 denominazioni e sottodenominazioni italiane e le classifica secondo una serie di dati analitici molto dettagliati che partono dalla dimensione e dall’eta’ della denominazione, passano attraverso i dati del disciplinare e arrivano a considerare il contesto economico nel quale la denominazione e’ incastonata. Noi guardiamo allo studio in due modi: (1) il primo, sono le conclusioni di Stefano e Marco sulla reputazione; (2) il secondo, semmai ancora piu’ curioso e’ una serie di dati descrittivi della realta’ delle DOC e DOCG italiane, sul quale sono costruiti i grafici del post. Per leggere lo studio completo (in inglese), seguite questo collegamento. Procediamo.
Relativamente alle determinanti della reputazione collettiva delle DOC/DOCG, le principali conclusioni dello studio sono le seguenti: (1) la dimensione della DOC non e’ necessariamente positivo per la reputazione. Come vedete dal grafico (direttamente preso dallo studio) esiste un punto in cui la reputazione della DOC comincia a scendere al crescere dei produttori coinvolti: il numero magico e’ 3400 produttori. Al di sopra di quel numeri si creano, probabilmente, i cosiddetti fenomeni di “free ride”, cioe’ di quelli che ci marciano e quindi rovinano l’immagine della denominazione. Tanto per avere una ulteriore controprova della eccessiva fragmentazione delle DOC/DOCG e relative sottodenominazioni, sappiate che la media italiana e’ 117 produttori. Quindi: 3400 diviso 117 uguale 29. Le denominazioni/Sottodenominazioni italiane sono 29 volte piu’ piccole di quello che dovrebbero mediamente essere. Suvvia, non manca molto…

(2) Una volta inserite tutte le variabili, la DOCG rispetto alla DOC non aggiunge tutta questa gran reputazione. (3) L’eta’ della denominazione ha un impatto molto positivo sulla reputazione. (4) Le variabili economiche (livello del reddito locale, tasso di criminalita’, imprenditorialita’, valore dei vigneti) sono ugualmente molto importanti per aumentare la reputazione. (5) Le regole della denominazioni sono anche loro importanti, ad esclusione del livello di alcol.
Veniamo alla seconda parte del post, la piu’ curiosa ma non meno interessante. I dati raccolti da Marco e Stefano ci danno un quadro preciso delle 1424 DOC/DOCG e relative sottodenominazioni. (1) L’eta’ media delle denominazioni e’ 24 anni, la piu’ vecchia ha 42 anni. (2) La media produttore per denominazione e’ 117, la piu’ grande 6592 produttori. (3) la resa media e’ 112.5 quintali per ettaro (range 40-200). (4) l’alcol medio e’ 11.5% (range 9-18%), l’acidita’ media e’ 4.67g/l, l’affinamento medio e’ 2.3 mesi. (5) il valore medio per ettaro e’ 40mila euro, e si muove tra 9000 e 186mila. (6) le denominazioni bianche sono il 49%, le rosate l’1%, le rosse il 50%. (7) l’82% dei vitigni sono “obbligatori”.
Cosa commentare? Il vedo in questi dati un segnale chiaro: sarebbe necessaria una pesante ristrutturazione dell’apparato regolamentare del vino. Ci sono troppe denominazioni, troppo piccole e con parametri produttivi (vedi resa per ettaro o tempo di affinamento) troppo elevati. Il potenziale e’ elevato ma cosi’ come siamo organizzati non e’ sfruttabile.
potete mettere il link al documento? grazie
Sicuro: eccolo
bacca